A.I. e Riabilitazione

L’ultima frontiera è rappresentata dall’intelligenza artificiale, una tecnologia che si è dimostrata utile in diversi campi della medicina, come l’analisi di immagini, sfruttando supercalcolatori e grandi masse di dati, ma che ancora non ha raggiunto una grande diffusione in ambito clinico riabilitativo. I maggiori ostacoli all’uso dell’intelligenza artificiale sono oggi costituiti dalla mancanza di processi standardizzati, da un quadro giuridico non ancora ben definito e da una per il momento, limitata accettazione e fiducia da parte del personale sanitario.

L’Intelligenza Artificiale è una disciplina che origina dall’informatica, dalla matematica, dalla logica e dall’ingegneria, e che mira a riprodurre i processi di apprendimento e le strategie decisionali del cervello umano. Essa ha dunque un grande potenziale applicativo nella medicina, e in particolare nei processi di diagnosi e cura.

Negli ultimi anni anche la medicina riabilitativa, come altri settori della sanità in precedenza, ha visto comparire e diffondersi tecnologie innovative estremamente sofisticate e con potenzialità straordinarie. 

Grazie alla miniaturizzazione delle componenti elettroniche e meccaniche e all’utilizzo di nuovi materiali, sono comparsi anche gli esoscheletri, strutture indossabili ed utilizzabili dal paziente a scopo sia riabilitativo che assistivo. Alcuni esoscheletri ad esempio, permettono a pazienti tetraplegici di assumere una posizione eretta e di camminare in autonomia.

La riabilitazione con il supporto della robotica è consigliata per tutte quelle patologie neurologiche che comportano, in particolare, deficit di equilibrio e alterazioni o perdita della possibilità di camminare:

  • Malattie degenerative del sistema nervoso, come Parkinson o Atassie sensomotorie (incapacità di coordinare e controllare i movimenti di tronco e arti inferiori)
  • Esiti di Ictus
  • Sclerosi Multipla
  • Inabilità motorie
  • Vertigini

L’intelligenza artificiale permette al fisioterapista di costruire percorsi riabilitativi più personalizzati, volti a:

  • migliorare l’equilibrio, la stazione eretta e quella seduta, l’andamento del passo e il cammino, rendendolo più fluido e veloce
  • monitorare in tempo reale i miglioramenti delle performance e della qualità del movimento del paziente

Questo tipo di riabilitazione può trovare applicazione anche nel percorso fisioterapico di persone con inabilità motorie, per mantenere una buona articolarità degli arti inferiori e una migliore capacità di trasferimento del proprio peso sul tronco.

Prima di potersi sottoporre alla stima e riabilitazione supportata dall’Intelligenza Artificiale, è necessaria la visita specialistica da parte di un Medico Fisiatra o Ortopedico che ne attesti l’idoneità. A seguire, sarà necessaria anche una valutazione da parte del Fisioterapista che, con la collaborazione del robot, sottoporrà il paziente ad alcune prove fisiche volte a stimolare i gesti e le reazioni di equilibrio del paziente.

Una volta completata la valutazione, verrà rilasciato un report dettagliato sulle funzioni riguardanti movimento e postura, sul quale verrà definito il percorso riabilitativo più adatto alle proprie esigenze.

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Terapia DBS (Deep Brain Stimulation) per la malattia di Parkinson

Tema principale La stimolazione cerebrale profonda (DBS dall’acronimo inglese Deep Brain Stimulation) è un trattamento chirurgico volto a ridurre i sintomi motori debilitanti caratteristici dei disturbi del movimento come il Parkinson, la distonia e il tremore essenziale. Questa procedura è utilizzata anche per curare l’epilessia, il dolore cronico e i disturbi ossessivo-compulsivi.

Il trattamento consiste nell’impianto chirurgico di elettrocateteri nelle aree del cervello deputate al controllo dei movimenti, e, inoltre, di un dispositivo medico, simile a un pacemaker cardiaco, vicino alla clavicola o nella regione addominale. Quest’ultimo invia degli impulsi elettrici agli elettrodi situati nelle aree cerebrali, bloccando i segnali che provocano i sintomi motori disabilitanti. I pazienti riescono così ad avere un miglioramento del loro quadro clinico. Il dispositivo, inoltre, può essere comandato senza fili tramite un programmatore esterno che consente di adeguare i parametri della stimolazione, o di spegnere il dispositivo qualora fosse necessario.

La stimolazione cerebrale profonda rappresenta un intervento chirurgico invasivo: prevede, infatti, la perforazione, tramite un trapano, del cranio in anestesia locale. Degli elettrodi vengono quindi inseriti in profondità nel cervello per identificare mediante test clinici e neurofisiologici (al paziente viene chiesto, per esempio, di aprire e chiudere la mano) l’area nella quale inserire l’elettrodocatetere definitivo. Questa metodica viene utilizzata per curare il Morbo di Parkinson da oltre 20 anni e i dati raccolti dimostrano che questa tecnica offre buoni risultati, in alcuni casi ottimi, a condizione che i pazienti siano selezionati scrupolosamente.

L’intervento è indicato nei pazienti con il Morbo di Parkinson che presentano fluttuazioni motorie e discinesie non più controllabili dal trattamento farmacologico. I soggetti che possono sottoporsi a questa terapia costituiscono circa il 10% della popolazione affetta da Parkinson. Sono soggetti relativamente giovani e sani (limite di età di 70 anni), con severi effetti collaterali dati dalla terapia farmacologica utilizzata per controllare la malattia. Devono comunque avere una risposta positiva alla somministrazione di levodopa anche se di breve durata. Si richiedono funzioni cognitive e mentali integre e imaging neuroradiologico normale.

Dopo 2-3 settimane dall’intervento, quando il quadro clinico appare sufficientemente stabile ed è stata effettuata una prima regolazione dello stimolatore, il paziente può essere dimesso. Dovrà eseguire controlli ambulatoriali nei mesi successivi per effettuare le eventuali modifiche dei parametri di stimolazione e adeguare la terapia farmacologica. Il miglioramento dei sintomi del Parkinson è evidente già nei primi giorni dopo l’avvio della stimolazione. Questo consente la riduzione della dose dei farmaci dopaminergici dal 50 all’80%, con una percentuale intorno al 15-20% di pazienti che non necessitano di assumere la terapia.

Prima di affrontare l’intervento il paziente viene sottoposto a un attento esame clinico mediante l’impiego della scala divalutazione della malattia di Parkinson: si valuta il paziente in base al suo stato mentale, alle attività della vita quotidiana, alle funzioni motorie, alle complicanze dovute alla terapia, alla progressione e stadio della malattia. Inoltre, viene posto particolare interesse alla valutazione del tremore, della rigidità, dell’acinesia e dei disturbi dell’equilibrio. L’analisi viene effettuata sia durante la terapia farmacologica che dopo la sua sospensione. Sulla base della valutazione e della prevalenza di uno dei sintomi sugli altri, viene scelta la regione cerebrale in cui impiantare l’elettrocatetere. L’ulteriore preparazione pre-impianto consiste nell’effettuazione degli accertamenti finalizzati all’intervento chirurgico: esami del sangue, Rx torace, ECG, Rx cranio, TAC o RMN dell’encefalo.

( IRCCS Humanitas Research Hospital)

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Carenza di Vitamine (Vitaminosi): sintomi e segni

Con la disponibilità di cibo che abbiamo oggi, la carenza di vitamine dovrebbe essere un problema ormai superato. Eppure, paradossalmente, non è così. Diete squilibrate, che prediligono il consumo di cibi lavorati piuttosto che di frutta e verdura, generano nel nostro organismo degli scompensi. Che hanno a loro volta delle importanti ripercussioni sulla nostra salute.
Le vitamine agiscono da coadiuvanti a tutte le reazioni che avvengono nel nostro corpo. La loro assenza, dunque, genera sintomi chiari, che variano in base alla vitamina interessata.
Se trascurati, questi sintomi possono portare in alcuni casi a delle problematiche ben più gravi. Ecco allora che diventa importante riconoscerli, per poter intervenire in tempo.
Tagli ai lati della bocca
Se vi state guardando allo specchio e notate la presenza di piccoli tagli ai lati della bocca, potreste presentare una carenza di vitamine del gruppo B. In particolare, riboflavina (B2), niacina (B3) e B12, oltre, probabilmente anche di ferro e zinco.
La soluzione potrebbe essere quella di consumare più uova, salmone, vongole, o in generale pesce e frutti di mare. Per coloro che hanno scelto di non consumare pesce e carne, esistono delle soluzioni vegetali che consentono di integrare le vitamine del gruppo B.
Parliamo ad esempio di pomodori secchi, lenticchie, noccioline, semi di sesamo e bietole. Contemporaneamente, potrebbe essere utile consumare anche Vitamina C, utile a favorire l’assorbimento di ferro. Magari abbinando del succo di limone o altri alimenti che contengono questa sostanza, a broccoli, pepe rosso, cavolo e cavolfiore.

Eruzioni cutanee sul viso e caduta di capelli
Se riscontrate questi problemi, potreste essere di fronte a una carenza di zinco. In genere, la caduta di capelli sintomo di carenza di zinco è accompagnata anche a problemi di cicatrizzazione delle ferite, pelle secca, eruzioni cutanee frequenti e macchie rosse. Stessa sintomatologia anche per carenze di vitamine liposolubili e della vitamina B7.
Per risolvere si potrebbero consumare lievito di birra, frutta secca, semi di zucca, cereali integrali, avocado, avocado, cavolfiore e banane.

Bolle rosse simili ad acne su guance, braccia e cosce
Questi sintomi indicano una carenza di acidi grassi essenziali e di vitamine A e D. Potete accorgervi che non si tratta di acne, perché le bolle hanno una consistenza simile a palline di grasso e fanno male al tatto.
Per risolvere la carenza di Vitamine A e D, potete decidere di integrare nella vostra dieta frutta secca, noci, mandorle e semi di Lino.
Nello specifico, contengono vitamina A: carote, peperoni rossi, cavolo, ma anche patate dolci, arance, mandarini. Per la vitamina D, invece, un ottimo integratore, oltre alle uova, sono i funghi, le verdure a foglia scura e tanto, tanto sole.

Formicolio, intorpidimento e solletico a mani e piedi
In questo caso potremmo essere in presenza di carenze di vitamine del gruppo B, in particolare acido folico (B9), B6 e B12.
Questo genere di carenza colpisce soprattutto i nervi periferici e può accompagnarsi ad ansia, senso di fatica, anemia e squilibri ormonali.
È possibile integrare nella propria dieta alimenti come asparagi, fagioli, frutti di mare, ma anche spinaci e uova.

Crampi muscolari, dolori pungenti ai piedi, ai polpacci e alla parte posteriore delle gambe
Spesso questi sintomi vengono confusi con un semplice affaticamento muscolare, ma potrebbero essere sintomo di una carenza di potassio, calcio e magnesio. La causa potrebbe essere una sudorazione eccessiva correlata a un’insufficiente integrazione di Sali minerali e vitamine solubili in acqua. Potete risolvere, consumando banane, nocciole, mandorle, zucca, ciliegie, mele, pompelmo, broccoli e verdure a foglia verde come cavoli, spinaci, tarassaco.

Carenza di vitamine: a ognuno la sua
La carenza di vitamine e una dieta sbilanciata possono portare però anche ad altri sintomi ben precisi E ogni vitamina ha i suoi.

Vitamina A
Chi ne è carente si sente sempre stanco, ha una scarsa visione notturna, pelle e denti perdono la loro lucentezza e il loro smalto ed è più facile ammalarsi.

Vitamina B
Qui bisogna effettuare un’altra differenziazione interna.
Nel caso di carenza di vitamina B1, si può andare incontro a insonnia, fatica, debolezza, irritabilità, problemi gastrointestinali e cardiaci.
Se si tratta di vitamina B2: gli occhi sono arrossati e doloranti, nella bocca iniziano a comparire le afte, i capelli diventano grassi e possono presentarsi casi di dermatite.
Una mancanza di vitamina B3 provoca mal di testa, stanchezza, alitosi, nervosismo, ulcere e problemi gastrointestinali.
Nel caso di carenza di vitamina B5, possono presentarsi crampi, stanchezza, piedi che bruciano, casi di aritmia, nausea e insonnia.
La carenza di vitamina B6, invece, porta a problemi del sonno, della pelle, caduta di capelli, crampi e ritenzione idrica.
Se ciò di cui siete carenti è la vitamina B12, invece, vi sentirete sempre stanchi, depressi, inappetenti e avrete problemi di equilibrio.

Vitamina C
La sua carenza si traduce in una cattiva cicatrizzazione delle ferite fratture, episodi di perdita di sangue dal naso e dalle gengive, articolazioni doloranti e infiammate, casi di anemia e una più frequente comparsa di lividi sulla pelle.

Vitamina D
Chi ne è carente può andare incontro a fragilità delle ossa, rachitismo, carie, calcoli renali, debolezza muscolare.

Vitamina E
Ed ecco l’ultima vitamina. La sua carenza può provocare anemia, problemi di fertilità, diminuzione dei riflessi, difficoltà a mantenere l’equilibrio e a camminare.

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Sindrome Post Covid-19: cause e disturbi

 

Sono stati tanti i casi di persone che, dopo essere guarite dal Covid-19, hanno affermato di continuare ad avere problemi di salute di vario genere, anche a distanza di tempo. 

La maggior parte delle persone che hanno contratto il Covid-19 riesce a recuperare completamente entro due mesi, alcuni, invece, continuano a presentare disturbi e manifestazioni cliniche per più tempo. 

Tale condizione, detta Sindrome Post Covid-19, indica l’insieme dei disturbi e delle manifestazioni cliniche che persistono dopo l’infezione, rappresentando una specie di continuazione della malattia. Un vero problema che può portare a conseguenze sanitarie anche piuttosto pesanti.

Il Long Covid è una sindrome post-virale che può debilitare una persona sotto molti aspetti anche per parecchie settimane dopo la negativizzazione, e cioè dopo la guarigione e la conseguente eliminazione del virus dall’organismo.

La durata della persistenza dei sintomi non sembra essere collegata all’intensità degli stessi durante la malattia: può succedere, infatti, che anche le persone che hanno avuto una forma lieve di Covid-19 sviluppino problemi a lungo termine.

La letteratura scientifica attuale preferisce fare una distinzione a proposito della sindrome che si presenta in seguito a malattia acuta:

se i sintomi si presentano tra la quarta e la dodicesima settimana dalla malattia acuta, si parla di Covid-19 sintomatico subacuto;

se i sintomi si presentano anche dopo la dodicesima settimana dalla malattia acuta, si parla di Covid-19 cronico o Sindrome post-Covid-19  o più semplicemente di Long Covid.

È molto importante individuare tempestivamente eventuali effetti a lungo termine: i medici di medicina generale devono monitorare attentamente i pazienti che hanno avuto il Covid-19 per verificare sintomi e disturbi permanenti anche dopo la guarigione dall’infezione, anche se il virus non è più presente nell’organismo.

I disturbi caratteristici del Long Covid possono essere causati da diversi meccanismi:

-un danno diretto agli organi del corpo provocato dal virus o dalla malattia;

-effetti e compromissione del sistema nervoso;

-risposta anomala del sistema immunitario che, nel tentativo di eliminare il virus, innesca una specie di autoimmunità per cui aggredisce “per sbaglio” anche organi e tessuti del proprio corpo, danneggiandoli.

Ad agosto del 2020 solo circa il 10% dei pazienti guariti dal Covid-19 era affetto da Long Covid, stime più recenti mostrano che la percentuale di persone guarite dall’infezione da SARS-CoV-2 che necessita di assistenza sanitaria anche a distanza di settimane o mesi dalla negatività al test si aggirerebbe intorno al 50% (quindi una persona su due fa esperienza di questa patologia).

Riguardo alla durata dei sintomi, uno studio pubblicato su Nature Medicine ha analizzato più di 4.000 pazienti guariti dall’infezione da SARS-CoV-2, ottenendo che:

-il 13% delle persone coinvolte nello studio presentava i sintomi del long Covid per più di 28 giorni;

-il 5% per più di 8 settimane;

-il 2% per più di 12 settimane;

I sintomi del Long Covid possono interessare diversi organi. Non è ancora chiaro se sono causati direttamente dal virus o se sono provocati dallo stress o dal trauma dell’infezione.

Il sintomo sicuramente più diffuso è la stanchezza, seguito dalla perdita del gusto e dell’olfatto. Un altro sintomo riportato molto frequentemente è la “nebbia mentale”, condizione caratterizzata da problemi di memoria e di concentrazione in aggiunta alla costante sensazione di stanchezza. Dal punto di vista scientifico questa condizione è nota come “encefalomielite mialgica” o “sindrome da stanchezza cronica”, che in molti casi si manifesta proprio in seguito a un’infezione. I meccanismi alla base dello sviluppo di questa condizione, però, non sono ancora del tutto chiari.

Difficoltà ancora maggiori sono poi riscontrate da chi deve imparare a gestire malattie croniche preesistenti con tutti gli altri sintomi del Long Covid: 

-vertigini

-mal di testa

-difficoltà nel sonno

-respiro corto

-palpitazioni e battito irregolare

-sintomi neurologici come ansia o stress

-disturbi gastrointestinali

-iper-sudorazione

-eritemi cutanei

-perdita di capelli

-debolezza delle unghie

-dolori muscolari

-problemi renali.

Se trascorsi due mesi dalla negativizzazione alcuni sintomi persistono ancora, è meglio rivolgersi al proprio medico curante perché potrebbe trattarsi di Long Covid. A quel punto saranno prescritti esami specifici per controllare lo stato psicologico e il funzionamento di diversi organi, come il cuore o i polmoni.​

Ad oggi, purtroppo non esistono terapie specifiche per curare i disturbi legati al Long Covid. Si è costretti a convivere con i sintomi fino alla loro regressione e cercare per quanto possibile di alleviarli, risalendo alle cause e trovando soluzioni personalizzate per ogni paziente.

Le terapie possono prevedere:esercizi di riabilitazione fisica; diete alimentari per riprendere peso o massa muscolare o, al contrario, per perdere peso; supporto psicologico per coloro che presentano stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD).

Gli effetti a lungo termine dell’infezione causata dal nuovo coronavirus possono manifestarsi in tutte le persone che lo hanno contratto, indipendentemente dall’età e dalla gravità della malattia.

Il Long Covid colpisce uomini e donne di ogni età, ma sono soprattutto le donne tra i 40 e 60 anni a soffrirne. Si è osservato anche qualche caso in età pediatrica ma, per il momento, non sembrano esserci differenze tra bambini e bambine. Quindi si pensa che gli ormoni sessuali, poco rilevanti in età pediatrica, abbiano un ruolo importante nella manifestazione della malattia.

Oltre all’essere donne, anche l’età avanzata e il sovrappeso potrebbero essere fattori di rischio per lo sviluppo del Long Covid.

L’assistenza ai pazienti affetti da Covid-19 non deve concludersi al momento della dimissione dall’ospedale: è necessario che queste persone vengano seguite anche dopo il rientro a casa. A questo scopo il medico di famiglia può consigliare l’inserimento in uno dei tanti studi clinici disponibili per la ricerca sul Long Covid.

Una stretta cooperazione interdisciplinare è necessaria per l’assistenza completa di questi pazienti in ambulatorio: specialisti provenienti da più discipline offrono la loro assistenza a chi ancora soffre a causa dell’infezione da SARS-CoV-2.

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A proposito di Sclerosi Multipla

Uno studio del Ministero della Salute ha evidenziato come la Slerosi Multipla, seconda causa di disabilità neurologica in Italia tra i giovani adulti, abbia un costo sociale annuo di 2,7 Miliardi di euro.Gran parte dei costi sostenuti dai pazienti riguardano l’area delle prestazioni fisioterapiche e neuroriabilitative.

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